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giovedì 31 maggio 2012

Frédérick Leboyer
































Lasciatelo stare. Lasciatelo fare. Lasciategli il tempo.
Il sole si alza forse di colpo?
Tra il giorno e la notte non indugia forse l'alba incerta e la lenta, maestosa gloria dell'aurora?
Lasciate alla nascita la sua lentezza e la sua gravità.

Frédérick Leboyer


venerdì 18 maggio 2012

Gravidanza e parto tra gli Mbuti




I cacciatori-raccoglitori mbuti vivono nella foresta pluviale di Ituri nella Repubblica Democratica del Congo. Per gli Mbuti il principio e la fine di tutto è la foresta. Il mondo degli Mbuti assomiglia a una 'sfera': il termine che essi usano per indicare la sfera è uno dei tanti con cui identificano l'utero. 

Il concepimento e il parto per le donne mbuti sono frutto dell'amore e della gioia, la gravidanza è vissuta con grande fiducia e il parto come un'avventura felicemente conclusa. Le donne mbuti partoriscono da sole o con un'amica e il caso di parti difficili è rarissimo.

Dopo i primi sintomi inequivocabili di gravidanza, la futura madre continua la sua vita quotidiana normale, quasi senza cambiamenti, fino al giorno del parto. Progressivamente, però, tende ad evitare quelle attività che la impegnerebbero troppo sul piano fisico e su quello emozionale. Durante gli ultimi mesi le donne hanno l'abitudine di andarsene da sole nella foresta a cantare la ninna-nanna al proprio figlio. Le madri mbuti infatti cominciano a trattare i propri figli come esseri intelligenti già tre o quattro mesi prima che vengano al mondo. Esse attribuiscono loro la medesima intelligenza degli adulti. Nelle ninne-nanne non vengono utilizzate cantilene di parole prive di senso, ma esse sono canti informativi e rassicuranti. In questo modo al nascituro che è ancora in grembo viene descritto sia il mondo fisico che quello sociale che a breve lo accoglierà. 

Nei giorni immediatamente precedenti al parto  la madre solitamente riduce quasi del tutto le proprie attività e, di norma, durante uno dei suoi solitari appuntamenti con la foresta, sceglie una liana da cui trarre l'ovatta nella quale sarà avvolto il figlio alla nascita. 
Le donne mbuti partoriscono da sole o con un'amica. Se la madre è sola, si accovaccia sulle anche o siede su un tronco. Se ritiene che ci possano essere delle difficoltà, si sdraia a terra, appoggiando i piedi contro un albero o contro i piedi di un'amica. I casi di parto difficile sono rarissimi: i piccoli vengono al mondo facilmente, accolti dalle mani della madre o di un'amica e immediatamente posti sul petto materno. Il cordone ombelicale non viene tagliato subito. Non esiste un momento preciso in cui effettuare il taglio: questo avviene dopo alcuni minuti o nel giro di un'ora. Il momento della nascita non è mai segnato da un pianto acuto e prolungato. Il neonato emette generalmente un paio di strilli e poi giace sul corpo della madre, esplora il suo corpo, ne sente l'odore e il calore, si attacca al suo seno. 


I bambini mbuti vengono al mondo accompagnati da una grande fiducia, la nascita è un meraviglioso viaggio che si conclude felicemente, in cui il bambino si sposta da un grembo a un altro assai simile al primo. Se la sua prima esperienza del mondo esterno glielo facesse apparire troppo dissimile dall'ambiente sicuro del grembo materno, la sua nascita sarebbe caratterizzata da un senso di incertezza e di timore. Questo 'modello educativo' viene uniformemente seguito anche dopo, nei passaggi successivi all'infanzia e all'adolescenza. Se la nascita fosse segnata dallo shock e dal timore e se la medesima insicurezza, la medesima necessità di affrontare l'ignoto si ripetesse periodicamente  durante tutte le fasi dell'esistenza, sarebbe legittimo pensare che la reazione di fronte a ogni situazione nuova non potrebbe essere che di timore, paura, ostilità, sospetto, aggressività. Gli Mbuti invece non hanno mai questo tipo di reazione. 
Perché mai un neonato mbuti dovrebbe imparare ad essere aggressivo, quando sta attaccato al petto di sua madre per un periodo anche più lungo di quello che ha passato in grembo, durante il quale la madre soddisfa tutte le sue necessità, proprio come accadeva prima della nascita? Certo, la nascita è avvenuta e con essa il distacco tra madre e figlio, ma le madri imbuti vivono questo distacco gradualmente, senza compromettere mai, nemmeno per un momento, la fiducia nella bontà complessiva della foresta-sfera-utero. Il fattore guida che regola costantemente il loro comportamento è questo: quando un neonato è posto di fronte a qualcosa di nuovo che non riesce a capire e reagisce piangendo, subito la madre se lo porta al seno, ripristinando la sensazione familiare di sicurezza e protezione.

fonte La politica della nonviolenza, Colin M. Turnbull, in Il buon selvaggio. Educare alla non aggressività, a cura di Ashley Montagu, 1999, Editrice A coop. sezione Elèuthera, Milano


sabato 12 maggio 2012

La nostra seconda pelle


Abbiamo portato Emma per la prima volta quando lei aveva 6 giorni. Abbiamo iniziato timidamente, non avendo alcuna esperienza, ma con tanta voglia di imparare. I primi 'esperimenti' sono andati bene: Emma  dormiva nella fascia e le sensazioni che io e il mio compagno provavamo portandola erano del tutto piacevoli.

Usare la fascia lunga non è stato immediato: 5 metri e mezzo di stoffa da avvolgerti addosso non sono così agevoli di primo impatto! E ovviamente non ti senti molto spigliato nel legarti tutta questa stoffa.

Così abbiamo iniziato a portare Emma per qualche ora al giorno, per abituarci e familiarizzare con l'uso: dopo circa due settimane portavo la piccola tutto il giorno e mi sentivo totalmente disinvolta nella legatura.Che meraviglia!! Io e Jacopo non faremmo più senza! Per ora stiamo utilizzando una fascia lunga elastica e ci troviamo davvero bene. 

La fascia per noi non è solo un comodissimo mezzo di trasporto: andiamo a fare la spesa da sole e io posso spingere il carrello senza problemi, andiamo a camminare nel bosco (certo sarebbe complicato andarci spingendo la carrozzina!).

Oltre a questo, portare è una scelta precisa: è un modo di stare insieme e di crescere nostra figlia. Contatto, calore, vicinanza è tutto ciò che vogliamo e possiamo offrire alla nostra piccola. E' meraviglioso poter rispondere in maniera istantanea ai bisogni di tua figlia e portarla è l'unico modo che ti permette di farlo, pur mantenendo una libertà di azione e di movimento quasi totale.
Ecco cosa rende per me la fascia insostituibile: poter fare una vita attiva, poter fare i lavori di casa, occuparmi dell'orto, fare la spesa, leggere, studiare, scrivere, tutto questo INSIEME a Emma. Stiamo insieme, ma Emma non è perennemente al centro dell'attenzione, semplicemente partecipa alla vita quotidiana.


lunedì 7 maggio 2012

Il momento della nascita è una storia a tre


Sì, una storia a tre, perché partorire insieme al mio compagno è stato il dono più grande. 
Io e Jacopo abbiamo vissuto insieme il travaglio: siamo stati un tutt'uno. Certo il parto in casa è stata la condizione fondamentale perché questo potesse verificarsi. Le ostetriche erano con noi, presenze silenziose nella penombra. 
La forza del mio travaglio, tre ore e mezza di energia sconvolgente, ci ha presi entrambi:


Jacopo ha respirato con me, mi ha sorretta, mi ha seguita, ha vissuto l'energia che mi passava attraverso, aiutandomi ad abbandonarmi ad essa. Durante le spinte, tra una contrazione e l'altra, cadevo assopita su di lui, per poi riemergere prima con il respiro e poi con tutto il corpo, stringendo le sue braccia. 

Anche quando c'è stato un momento d'allerta (il battito di Emma era rallentato, la situazione di stallo si stava prolungando e le mie spinte sembravano inefficienti) ho sentito che Jacopo c'era e insieme alle ostetriche bastava per gestire la situazione: non c'è stata in me  nessuna preoccupazione, solo la consapevolezza e l'impellenza fisica di 'lavorare' affinchè Emma nascesse. 

Poi l'ultima spinta ed ecco la piccola: non ci sono parole per dirlo...

Noi tre, insieme, questo primo viaggio si è concluso: siamo esausti e gonfi d'amore. 





venerdì 4 maggio 2012

Le mamme sanno già tutto, ma non lo sanno

Le mamme sanno già tutto, ma non lo sanno. Noi dobbiamo convincerle che loro sanno partorire e i loro neonati sanno nascere.     Lorenzo Braibanti, medico



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